Il tema delle flessibilità nel sistema pensionistico è in prima pagina ormai da mesi. Tra le richieste dei sindacati che puntano ad una radicale modifica della Legge Fornero e le varie forze di opposizioni che puntano a far cadere il governo di centro sinistra su questo tema, la flessibilità, mai come ora, è praticamente sulla bocca di tutti, dalle forze di centro destra fino all’estrema sinistra. Il Governo, d’altra parte, non contribuisce di certo ad aumentare la chiarezza sul tema con continui annunci di riforme spesso smentiti dagli stessi ministri.
Oggi, dopo continue conferme e smentite, sembra che la riforma possa essere inserita nella Legge di Stabilità. La flessibilità nel sistema pensionistico presuppone un tema molto semplice: dare la possibilità ai lavoratori di uscire anticipatamente dal lavoro ottenendo la pensione con qualche anno di anticipo, ma a costo di un assegno di portate minore. L’età dopo la quale si potrebbe giungere alla pensione anticipata dovrebbe essere 62 anni con almeno 35 anni di contributi mentre la penalizzazione dovrebbe essere al massimo di otto punti percentuali dell’interno importo pensionistico.
Molte le voci di dissenso rispetto questa proposta provengono da più parti. Il tema con il quale si contesta la riforma proposta in questi termini riguarda il costo che potrebbe avere per le casse dello Stato che, secondo le stime dell’Inps, si aggira tra gli 8 ed i 10 miliardi. I calcoli però da più parti vengono contestati per il semplice motivo che si basano su una platea esagerata. Praticamente, secondo l’Inps, con questa riforma tutti i lavoratori con un’età di 62 anni andranno in pensione anticipatamente senza contare che, con tutta probabilità, a sfruttare questa possibilità saranno solo i lavoratori impegnati in mestieri più “usuranti” mentre i vari primari, i professori universitario, i dirigenti probabilmente saranno molto meno propensi ad uscire dal sistema lavorativo per usufruire di pensioni più basse.